Il coordinatore dei Verdi sostiene che io non racconti cose vere a proposito delle conseguenze dell’apertura economica del nostro Paese, confutando alcuni dati statistici da me menzionati in un articolo apparso il 10 gennaio sul Corriere del Ticino. (Cfr articolo sotto).
Prima di venire ai dati, ma restando alle falsità, vorrei cogliere l’occasione per dire che, sebbene rimanga favorevole all’adesione della Svizzera all’Unione europea (UE) ed ai bilaterali, non posso certo essere definito un “entusiasta” della libera circolazione, come ha affermato Savoia. Sappiamo tutti benissimo che l’integrazione europea come la conosciamo oggi comporta anche aspetti problematici, solo gli ingenui possono credere che sia possibile trattare con l’Europa ed ottenere solo vantaggi a nostro favore senza concedere nulla in cambio. Ricorderò che nelle complesse trattative tra Svizzera e UE sui bilaterali è stata l’UE, non la Svizzera, a chiedere che la libera circolazione fosse inserita nel pacchetto da prendere o lasciare complessivamente. La consapevolezza che questo accordo avrebbe potuto comportare anche dei problemi era ben presente già dall’inizio, tanto che già prima del 2000 la sinistra chiese ed ottenne delle misure accompagnatorie che permettessero di ridurne l’impatto sfavorevole, anche se non sufficienti. Definire “entusiasta della libera circolazione” qualcuno che ha sempre sostenuto e continua a sostenere che la Svizzera deve rafforzare i provvedimenti per ridurre gli effetti non sempre positivi che questo principio comporta è un’inutile bugia che si commenta da sola.
Venendo ai dati, rilevo che è vero che la statistica degli occupati (SPO) comprende anche chi lavora poche ore, chi è in congedo, chi lavora per la propria impresa senza essere pagato, gli apprendisti, gli studenti che svolgono stages ecc., ma è pure vero che queste componenti sono presenti sia nel dato del 2003 che in quello del 2013. Quello che non può essere negato è che l’aumento degli occupati è stato di 43’000 unità in 10 anni, che probabilmente la componente di chi è in congedo, lavora gratuitamente per la propria impresa, è apprendista o studente in stage non è cambiata molto in un decennio, che se qualcosa si è modificato dal 2003 al 2013 è forse in parte la struttura del lavoro parziale, ma che l’aumento del dato è estremamente importante, facendo segnare un +23%. Di questi 43’000 occupati in più i frontalieri (non ci si dice quanti a tempo pieno e quanti a tempo parziale) sono 25’687, visto che il loro numero è passato da 33’623 a 59’310 dal 2003 al 2013, ed è quindi chiaro che il resto degli occupati sono persone residenti.
Al di là di queste cifre, il dato politicamente rilevante è però un altro e può essere riassunto nella domanda seguente: per dare maggiori possibilità di occupazione ai residenti è meglio chiudere con i bilaterali e rischiare di isolarci economicamente dai principali mercati delle nostre imprese, mettendo in conto quindi una possibile nuova fase di delocalizzazione di una parte delle aziende e una perdita di posti di lavoro, oppure mantenere l’apertura economica del nostro Paese combattendo però in maniera più decisa, tramite salari minimi, contratti collettivi ecc., contro quella parte di economia che sfrutta la manodopera estera contando su un diritto del lavoro svizzero insufficiente? Io preferisco la seconda soluzione, perché prende di mira i veri responsabili del fenomeno di sostituzione della manodopera residente, dove esso si verifica, e al contempo permette di mantenere vivace lo scambio economico con l’estero, che comunque la si veda è un fattore di sviluppo economico difficilmente confutabile. Per questo voterò NO il 9 febbraio sull’iniziativa UDC, ma sosterrò con convinzione il salario minimo legale quando tra qualche mese il popolo sarà chiamato a pronunciarsi su questo oggetto.
Falsità?
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