In due articoli, uno di Tarcisio Cima del 10 marzo sul GdP e uno di Franco Celio di sabato scorso sulla Regione, veniva criticata aspramente l’idea di poter giungere in Ticino a riunire i Comuni in 4 o 5 entità.
Detto di transenna che l’idea di questa soluzione dovrebbe a mio parere passare per un voto costituzionale di tutti i ticinesi, quindi da una decisione presa al massimo grado di democrazia, negli scritti di Cima e Celio, persone che stimo, ho trovato purtroppo poca volontà di approfondire il tema e parecchie asserzioni inesatte o lungi dall’essere dimostrate, tutte comunque volte a liquidare l’idea come strampalata o poco più.
Mi permetto di riprenderne qui alcune con qualche breve commento, anche se il discorso meriterebbe molto più tempo e spazio.
Cima: con 4 o 5 Comuni si avrebbero grossomodo le medesime prospettive di sviluppo di oggi. E’ vero, la riforma non produreebbe miracoli economici di per sé, ma è innegabile che l’intervento dell’ente pubblico sarebbe meno frammentato di quanto non sia oggi e che si potrebbero immaginare, per esempio, infrastrutture che oggi sono semplicemente impensabili.
Cima: 4 o 5 Comuni non metterebbero fine al trasferimento di risorse dalle zone economicamente ricche a quelle svantaggiate. Vero, nessuno credo lo sostenga, ma il meccanismo di perequazione sarebbe notevolmente semplificato,.
Cima: il territorio non sarebbe gestito meglio. Su questo non concordo; naturalmente se gli amministratori non vorranno usare gli strumenti a loro disposizione potrebbe succedere, ma potenzialmente un territorio di una certa vastità permetterebbe un riordino pianificatorio importante, che oggi non è possibile perché ogni Comune desidera avere sul proprio territorio delle unità produttive o delle società per motivi meramente fiscali.
Cima e Celio: queste grosse entità comunali si faranno inevitabilmente la guerra, acuendo le tensioni regionali. Ma perché mai, cosa permette di affermarlo con certezza? La realtà mostra che è la situazione attuale a soffrire di queste tensioni, molto poco comprese dai cittadini, tra Bellinzona e Giubiasco, tra Minusio, Muralto, Locarno e Ascona, tra Mendrisio e Chiasso, tanto per fare alcuni esempi.
Celio: 4-5 Comuni creerebbero importanti apparati burocratici. Perché mai? Certamente si attrezzerebbero per dare seguito alle competenze attribuite ai Comuni dalla legge, che tra l’altro potrebbero anche essere riviste ricomunalizzando competenze oggi cantonali semplicemente perché molti Comuni non sono in grado di garantirle, ma nulla porta a dire seriamente che gli impiegati sarebbero più della somma degli attuali dipendenti comunali messi assieme.
Celio: 4-5 Comuni escluderebbero totalmente i cittadini da ogni partecipazione effettiva alla gestione della cosa pubblica. Su questo punto proprio non ci siamo. La creazione di pochi Comuni farebbe sparire consorzi, enti intermedi, commissioni sovracomunali varie, tutteentità molto poco democratiche, spesso con competenze e disponibilità di soldi pubblici notevoli, e questo aumenterebbe la democraticità della gestione pubblica, non la diminuirebbe di certo, perché queste competenze verrebbero affidate ai dicasteri comunali. Naturalmente i politici locali (municipali e consiglieri comunali) sarevvero meno, ma il grado di democrazia non si misura dal numero di consiglieri pro capite, ma dal controllo pubblico dei processi decisionali.
Celio: pochi Comuni sarebbero una parodia dell’ente comunale, meglio allora cantonalizzare tutto. La tesi propone uno strano paradosso. Perché al di sopra di una certa taglia un Comune diverrebbe parodia di sé stesso? Forse che Lugano è la parodia di un Comune, mentre non lo è Onsernone (con tutto il rispetto naturalmente per Onsernone)? In realtà l’unica novità sta nel fatto che noi non siamo abituati a Comuni più grandi, che appena fuori dai nostri confini sono moneta corrente (Como, Verbania, Busto Arsizio, Gallarate, Sondrio).
La critica a mio modo di vedere più “profonda” al modello dei pochi Comuni è quella imperniata sulla convinzione che questo modello intenderebbe asservire valli e periferie ai centri. E’ una critica da prendere sul serio, ma che credo possa essere confutata. In parte perché non sono poche le valli e le periferie che già oggi si rivolgono spontaneamente ai centri per un sostegno (Valcolla con Lugano, Morobbia con Giubiasco e il piano, Verzasca con il piano ecc.). In parte perché la messa in rete di queste realtà periferiche con i centri permetterebbe di garantire anche in periferia servizi che oggi non ci sono e soprattutto obbligherebbe i centri a ragionare su questi territori come risorse da valorizzare.
Con queste mie poche righe non ho certo la pretesa di convincere gli scettici del modello “5 Comuni” della bontà di questa riforma. Chiedo solo che si eviti di banalizzarla senza entrare nel merito, perché sarebbe un errore grossolano. E’ una riforma possibile, che dipende solo da noi, che a mio parere semplificherebbe notevolmente le nostre istituzioni, uniformerebbe la qualità dei servizi alla cittadinanza, aumenterebbe la democrazia e razionalizzerebbe una serie di bizantinismi sorpassati.
I Comuni politici sono il primo strumento della collettività per organizzare le risposte pubbliche ai bisogni espressi dalla società. Confonderli con i luoghi di appartenenza, ai quali si è legati affettivamente, è sbagliato. Le località, i paesi, con le loro tradizioni, con il loro clima sociale possono benissimo convivere anche in entità amministrative grandi, capaci di grandi progetti, ma anche di servizi capillari ed efficenti.