NON CONFONDIAMO IL CONTENUTO CON IL CONTENITORE
Dal 25 ottobre scorso è pendente in Gran Consiglio un messaggio per l’acquisto da parte dello Stato di gran parte di un immobile alla stazione di Giubiasco per 12.6 milioni (immobile eVita), acquisto che a oltre sette mesi dalla proposta risulta bloccato per presunti problemi politici. I media continuano a presentare questo progetto di acquisto immobiliare come la Città dei mestieri, quando nella realtà gli inquilini dello stesso sono cinque, di cui la Città dei mestieri è probabilmente quello che richiede meno spazio.
Nella parte che potrebbe essere acquistata dal Cantone dell’immobile eVita è infatti previsto l’insediamento dell’Istituto della formazione continua (inclusivo del servizio Corsi per adulti) e della Città dei mestieri del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, ma anche i servizi “arredamento” e “traslochi” della Sezione della logistica e l’Ufficio dello sviluppo manageriale del Dipartimento finanze e economia.
Sarebbe gran tempo che non si confondessero i contenuti con il contenitore, tirando in ballo in una polemica politica degli istituti e dei servizi che con le possibili scelte logistiche non c’entrano nulla.
Chiedo per favore quindi prima di tutto ai media, ma non solo, di chiamare l’eventuale problema con il suo nome, quello dell’immobile, e non prendendo a prestito il nome di un servizio che deve ancora essere costruito, la Città dei mestieri, e che nessuno ha finora mai contestato.
L’ATTIMO FUGGENTE
Quello che è successo in queste ore, l’arresto del giovane che pare pianificasse un atto criminale cruento, ha preoccupato tutti, comprensibilmente, me compreso. Sono però al contempo contento della reazione della scuola, che come dimostrato anche in questa circostanza funziona bene ed è attenta ai propri allievi.
Questo grazie alla vicinanza e al clima di fiducia che esiste tra allievi, docenti e direzione, alla comunicazione schietta e aperta che esiste tra loro, alla capacità di ascolto e di lettura della situazione degli studenti e di chi nella scuola lavora tutti i giorni con professionalità e dedizione. La naturale vicinanza e il sincero interesse verso chi ci sta vicino, considerato come persona e non come un semplice numero, hanno in questa circostanza permesso di cogliere in tempo e prendere sul serio dei segnali altrimenti invisibili, permettendo di reagire tempestivamente per evitare qualcosa che fino a ieri alle nostre latitudini era quasi inimmaginabile.
Questa vicinanza tra studenti e docenti e questa apertura comunicativa sono un tesoro inestimabile che dobbiamo tenerci stretto. Indubbiamente il mondo sta cambiando rapidamente, producendo situazioni finora sconosciute alle nostre latitudini. Alla scuola il compito di restare al passo mettendo in campo quanto necessario per poter continuare ad esser vicini ai ragazzi e accompagnarli lungo il loro cammino, per far fronte alle molte sfide di un mondo che va di fretta, colmo di grandi opportunità, ma che purtroppo nasconde anche insidie.
In un meraviglioso film, Robin Williams impersonava il professor Keating, un docente sensibile, attento, che ascoltava i suoi allievi e li motivava. La scuola deve continuare ad essere questo: un’istituzione fatta di persone attente, che si parlano, vivono e crescono insieme.
Oggi non voglio pensare a cosa sarebbe potuto succedere. Oggi voglio fare un plauso a tutte le studentesse, gli studenti, i docenti e alle direzioni del cantone per quello che fanno ogni giorno e per come lo fanno. Perché la scuola ticinese è questa, e sono certo che, passato questo momento di naturale apprensione, tutti saremo cresciuti un po’ e sapremo stare ancora più vicini, per aiutarci e sostenerci a vicenda.
LE PERLE DI VERITÀ DI QUADRI
Perché Lorenzo Quadri debba riempire ogni domenica il suo giornale di frottole è una cosa che mi sfugge, visto che è persona intelligente e quindi certamente capace di trovare argomenti veri per sostenere quel che dice.
I docenti a larga maggioranza non condividono la riforma “La scuola che verrà”, dice Lorenzo Quadri, idem i direttori degli istituti scolastici, idem i genitori. Ma io ho per le mani tre prese di posizione di qualche tempo fa che dicono il contrario, una del collegio dei direttori, una della conferenza dei genitori e una del forum delle associazioni magistrali. Qualcuno deve averlo male informato, perché sono sicuro che non si abbasserebbe a inventare fandonie solo per sostenere la sua tesi.
Per Quadri la partitocrazia (PS, PPD, PLR, I Verdi) è boccalona. Si sarebbero fatti tutti abbindolare da me, che sono magari un bravo lavoratore, me lo concede anche Morisoli, ma non sono certamente così astuto da fregare più di mezzo parlamento.
Il rapporto di valutazione della sperimentazione sarà farlocco, dice Quadri. Ma se non è ancora stato deciso a chi affidarlo (e men che meno sarà un istituto ticinese), come fa a sapere che risultato avrà?
Secondo il Mattino ci saranno costi nascosti per le scuole comunali, anche a livello di edilizia scolastica, a causa dei laboratori e delle lezioni a classi dimezzate. Forme di laboratorio alle scuole comunali già ci sono e ce ne saranno di più in futuro, ma non implicano cambiamenti edilizi o logistici. Saranno possibili grazie all’introduzione del docente risorsa e di materie speciali. Forse le è sfuggito anche questo Quadri?
E poi per finire, piantiamola di prendere per il naso i ticinesi con la paranoia dell’ideologia rossa, che travierebbe i nostri figli nei decenni a venire. Il progetto di piano di studio della scuola dell’obbligo redatto dal DECS, che ben poco ha a che fare con “La scuola che verrà”, è serio e ragionato, è stato costruito da numerosi gruppi di lavoro comprendenti esperti, quadri scolastici e insegnanti ed è simile agli analoghi piani di studio svizzero tedeschi e romandi. Tutti sbagliati e traviati? Ma dai.
Ecco perché penso che Quadri sia stato male informato e me ne dispiace. Però sono a disposizione, quando ha un attimo di tempo (so che è molto occupato), per spiegargli bene sia il progetto che la sperimentazione, magari assieme a qualcuno dei leghisti che in Gran Consiglio il credito l’ha votato.
BORSE DI STUDIO: PASSI AVANTI
UNA RISPOSTA DOVEROSA
Ci è stato chiesto di dare una risposta a un’intervista di Franco Zambelloni a proposito del referendum contro La sperimentazione del progetto La scuola che verrà. Lo facciamo volentieri soffermandoci su alcuni punti, non senza rimanere di stucco di fronte ai vistosi errori inerenti ai fatti che ritroviamo nelle premesse dell’intervistato. Non tocca a noi commentare le opinioni, ognuno esprime liberamente le proprie, ma sui fatti veri o falsi non si può transigere.
Contrariamente a quanto sostiene Zambelloni, La scuola che verrà non tratta in alcun modo della questione delle sanzioni legate all’impegno scolastico, non si occupa di note (sufficienze o insufficienze), non si occupa di bocciature e ripetizioni di classe. Manifestamente egli non ha seguito il progetto, perché questo si occupa di forme didattiche, di collaborazione tra docenti, di occasioni di maggior vicinanza tra docenti e allievi lasciando gli aspetti citati dall’intervistato esattamente come sono regolamentati oggi.
Il proscioglimento dalla scuola dell’obbligo è già oggi garantito a tutti, contrariamente a quanto afferma Zambelloni, semmai è l’ottenimento della licenza che non lo è, aspetto che nella sperimentazione non muta.
Informiamo Zambelloni che non sarà il CIRSE a fare la valutazione, è una delle richieste della Commissione scolastica che è stata accolta; la responsabilità della valutazione sarà affidata a un istituto universitario d’oltre Gottardo.
I tempi della trattazione in Parlamento del dossier non sono stati decisi dal DECS, anche noi avremmo gradito un calendario diverso, ma confidiamo sulla capacità dell’istituto universitario che verrà scelto per la valutazione nel compiere un lavoro scientificamente solido nei tempi dati.
Nessuno ha contestato il diritto di lanciare un referendum, semmai sono state le argomentazioni del tutto fuorvianti a suo sostegno a essere criticate, nel pieno diritto di critica che dovrebbe appartenere a tutti, anche a chi cerca di capire le ragioni di un referendum.
Le premesse sulle quali Zambelloni fonda il suo ragionamento contengono numerosi e manifesti errori di fatto. Spiace dirlo, ma in questo caso è mancato largamente il rigore che da uno studioso come lui ci saremmo attesi. Si possono avere idee molto diverse sull’inclusione o sulla selezione scolastica, sono opinioni su cui senz’altro avremo modo di discutere a lungo, ma partire da premesse di fatto semplicemente non vere è purtroppo indice di confusione o di pressapochismo.
La scuola di tutti
Ha fatto bene Diego Erba, ex capo della Divisione della scuola, a ricordare oggi sulla Regione la figura di Franco Lepori, scomparso 20 anni or sono e ricordato come padre della scuola media ticinese. Una scuola delle pari opportunità di partenza, non dell’omologazione, come ha ricordato Erba, una scuola di tutti e per tutti.
A inizio mese ho partecipato a una mattinata di ricordo della figura di Lepori organizzata dalla Società demopedeutica e ho incontrato molte persone che hanno lavorato con lui. Io sono di un’altra generazione, ma ho potuto rileggere diversi documenti utili a capire come il confronto attorno alla scuola dell’obbligo sia sostanzialmente sempre lo stesso e si riduca a due visioni diverse, da un lato la scuola di tutti, dall’altro la scuola d’élite.
Nella scuola di tutti le pari opportunità non sono garanzia di riuscita uguale per tutti, ma un impegno forte e deciso nell’accompagnare gli allievi dove le loro risorse sono in grado di portarli. Una scuola che aiuta a crescere, senza far sconti o regali, ma che è lì per sostenerli.
Nella scuola d’èlite si seleziona presto, molto spesso in base a criteri grossolani o ingiusti, si frustrano molti ragazzi e ragazze che hanno comunque delle potenzialità e non ci si preoccupa del loro futuro. Magari poi ci si lamenta del risultato sociale di una simile scelta, andando a investire in formazioni tardive in età adulta, molto costose, dopo aver lasciato sole queste persone quando erano a scuola e potevano imparare di più.
Lo scontro degli anni ’70 sulla scuola media si sta riproponendo oggi con il referendum sulla sperimentazione della Scuola che verrà, che non è altro che un ammodernamento dell’organizzazione scolastica per permettere ancora meglio alla scuola dell’obbligo e ai suoi docenti di essere vicino agli allievi, in una società più complessa di quella di 40 anni or sono. Alle scuole comunali con mezza giornata alla settimana di co-docenza (due docenti presenti in contemporanea), per favorire insegnamenti più personalizzati, alla scuola media molte ore di laboratorio (con metà classe) o di atelier (con due docenti) per lo stesso obiettivo, invece dei livelli.
La storia si ripete, sta ai ticinesi confermare la fiducia alla loro scuola, la scuola di Franco Lepori, la scuola di tutti.
Le non ragioni di un referendum
Usare lo strumento del referendum popolare è legittimo e democratico, ma bisogna spiegarne il perché.
Per questo, curioso, ho sbirciato tra le carte dei referendisti contro il credito per la sperimentazione del progetto La scuola che verrà per scoprire:
– che il titolo del referendum è “No allo smantellamento della scuola pubblica”;
– che si parla di “sperimentazione senza criteri, obiettivi misurabili e con un risultato già predefinito”;
– che “L’86% dei docenti non si è espresso sulla riforma”;
– che La scuola che verrà sarebbe “una riforma che spinge le competenze degli allievi al ribasso”;
– che invece ci vorrebbe “una riforma urgente della scuola dell’obbligo, ma assolutamente non in questo modo”.
Ci vuole una mente ben contorta per sostenere che investire 34.5 milioni all’anno in più nella scuola pubblica a riforma generalizzata significhi smantellarla. Qualche referendum l’ho lanciato o sostenuto anch’io, ma normalmente quando parlavo di smantellamento è perché combattevo contro dei tagli, non dei maggiori investimenti. Come direbbe Crozza, non è che aumentando il numero di infermieri e medici negli ospedali si peggiorano le cure. La logica di questa assurdità si commenta da sola.
Come deciso dal Gran Consiglio, la valutazione della sperimentazione sarà perfettamente scientifica, come lo sono le valutazioni fatte dai nostri enti universitari. Oltretutto in questo caso sarà un ente non ticinese a svolgerla, con criteri e obiettivi scientifici, com’è normale per le università svizzere, giudicate da tutti tra le migliori al mondo. Vogliamo mettere in dubbio anche la qualità degli atenei rossocrociati?
Tutti i docenti della scuola dell’obbligo hanno potuto discutere della riforma nel corso di decine di incontri, hanno potuto partecipare per iscritto alla consultazione, si sono espressi tramite le loro rappresentanze. Molte delle loro osservazioni sono state ascoltate e inserite nel modello sperimentale. Chi invece non si è espresso in nessuna delle due consultazioni organizzate sono UDC e Lega dei ticinesi, da cui provengono diversi promotori. Un po’ imbarazzante criticare chi non si sarebbe espresso dopo aver fatto scena muta per anni.
Che La scuola che verrà sarebbe “una riforma che spinge le competenze degli allievi al ribasso” è una triste tiritera che gira da 4 anni, sulla quale ho dovuto ripetere più e più volte che si tratta di una menzogna. La riforma non spinge affatto le competenze verso il basso, ma dà ai docenti strumenti per essere vicini all’individualità degli allievi, quelli forti e quelli più deboli. Ore con metà classe o doppio docente (mezza giornata a settimana alle scuole dell’infanzia e alle scuole elementari, 6 lezioni settimanali in I media, 8 in II media, 10 in III media e 12 in IV media) e più spazi di collaborazione tra i docenti mediante un nuovo monte ore speciale permettono di gestire le differenze e l’eterogeneità meglio di quel che accade oggi.
La riforma “urgente” che il comitato referendario propugna come alternativa agli investimenti combattuti con il referendum è contenuta in un’iniziativa parlamentare Morisoli-Pamini che, tra l’altro, con un costo di certo non inferiore a quello preventivato per La scuola che verrà vuole reintrodurre una selezione precoce degli allievi a 10 anni, quando i bambini non hanno ancora potuto esprimere le loro capacità, facendo un salto indietro nella modernizzazione della scuola di oltre 40 anni, vuole trasformare la scuola in azienda, con direttori manager che non vengono dall’insegnamento, e naturalmente vuole denaro pubblico per finanziare le scuole private.
Queste sono le non ragioni di questo referendum. Come diceva una volta una fortunata pubblicità, meditate gente, meditate.