Basta con gli attacchi gratuiti ai docenti!

Giorgio Giudici, in seguito a un’opinione pubblicata sul Corriere del Ticino sul tema della civica, il 31.8.2017 al portale Ticinonews.ch ha detto dei docenti: “sono un corpo privilegiato, una casta che si sta opponendo su un tema fondamentale per la maturazione e la formazione dei giovani studenti. Quando io ero ragazzo che andava a scuola non avevamo tutori o assistenti, ma dei docenti che si preoccupavano davvero della nostra crescita. […] Oggi si sta perdendo tutto…”
Quale responsabile del Dipartimento dell’educazione mi sento in dovere di intervenire su due punti.
Innanzitutto ritengo non solo lecito, ma anche positivo che dei docenti si esprimano pubblicamente – con senso civico – su una questione che li tocca da vicino e su un contesto che conoscono bene, portando elementi di riflessione e difendendo una posizione che, condivisibile o meno, va comunque rispettata. Accade anche su altri temi scolastici, non di rado in dibattito con le scelte del mio Dipartimento. Mi pare poi ovvio che, a differenza di quanto ha capito Giudici, questi docenti non combattono contro una sufficiente conoscenza civica per i futuri cittadini, ma unicamente perché – per tutta una serie di motivi – ritengono il sistema proposto meno efficiente e appropriato rispetto a quello attuale, che pur è naturalmente sempre perfettibile.
C’è poi un secondo punto, più importante, su cui non posso soprassedere. I giudizi squalificanti e generalizzati dell’ex sindaco, che parla delle docenti e dei docenti come “casta” o “corpo privilegiato” che non si preoccupa davvero della crescita dei nostri ragazzi e che li categorizza come “tutori o assistenti” sono del tutto fuori luogo. Che i docenti siano indifferenti alla crescita dei nostri ragazzi è una grossolaneria gratuita che semplicemente non trova fondamento nei fatti e che va rigettata con forza, figlia di una superficialità disarmante. Che gli insegnanti abbiano delle buone condizioni di lavoro, segnatamente per quanto riguarda le vacanze, è un dato di fatto, ma è pure indubbio che durante tutto l’anno scolastico i docenti portano sulle loro spalle una grande responsabilità e un carico di lavoro tutt’altro che indifferente, trovandosi quotidianamente di fronte a classi intere di ragazzi a cui insegnare e dovendo svolgere buona parte del loro lavoro di preparazione e correzione nel tempo che altri dedicano a sé stessi. È ora di finirla con questa favola secondo cui i docenti appartengono a una casta privilegiata: se lo status del docente ha perso viepiù lustro negli ultimi anni è a seguito di queste facilonerie espresse senza rendersi veramente conto di cosa significhi e cosa implichi veramente svolgere questa professione fondamentale per la nostra società. Dobbiamo essere grati agli insegnanti, come a tanti altri professionisti, per quel che fanno, e smetterla di straparlare con leggerezza di chi fa il proprio lavoro. Contrariamente a quanto dice Giudici nella scuola non si sta perdendo un bel niente, solo la scuola è cambiata perché la società è cambiata e non è più quella di quando Giudici era ragazzo.

Laser puntato sui cacciatori di migranti

Il documentario radiofonico che potete ascoltare a questo link (Laser 1 maggio, Caccia ai migranti) parla di frontiere, di violenza, di inumanità e di fascismo. Soprattutto ci racconta una storia già sentita più e più volte in modi diversi ma sempre uguali, la storia della sopraffazione bestiale dell’uomo sull’uomo senza motivo. Migranti bastonati, cacciati dai cani, lasciati a congelare nell’inverno rigido, senza possibilità di andare né avanti né indietro, una vergogna indicibile.
Questa tragedia, non nascosta, conosciuta ormai da tutti, incredibilmente non smuove a sufficienza le coscienze del nostro mondo. Per questo va tematizzata e ritematizzata, affinché l’indignazione cresca, perché è solo attraverso la continua denuncia di quello che è inaccettabile che qualcosa potrà muoversi.
L’Europa, grande colpevole assente da questa scena aperta dell’inumanità, rimane comunque l’unica speranza. La frontiera ungherese e croata sarebbe cosa solo degli ungheresi e dei croati se questi due Paesi non fossero in Europa, dalla quale ricevono tra l’altro molti soldi. Ma siccome quel confine è anche europeo, Bruxelles può intervenire. Affinché lo faccia, soccorrendo i migranti, organizzando corridoi umanitari, la pressione dell’indignazione deve salire. Per questo documentari come questi sono importanti, per questo l’azione concreta di chi sta sul posto e racconta questa terribile storia è importante.
Nel documentario si sente un annuncio fatto in inglese dai doganieri ungheresi ai migranti, che spiega loro dov’è il limite tra il lecito e il crimine. Un annuncio che ricorda cose terribili accadute in Europa non moltissimi anni fa. Quello che fa restare di gelo è che si tratta di qualcosa che sta accadendo oggi, adesso e a qualche centinaio di chilometri da noi. In un mondo che dalla storia sembra non aver imparato nulla, o comunque troppo poco.

Riflessioni costruttive

La presa di posizione del Collegio dei direttori della scuola media sul progetto “La scuola che verrà”, al centro di un’edizione recente del Caffè (23.4.2017), è uno dei documenti che il mio Dipartimento sta attualmente valutando. Un contributo che sarà senz’altro utile per lo sviluppo della riforma.
È un testo che certamente non fa sconti, anche se si focalizza più sugli elementi da approfondire che su quelli innovativi, ma d’altra parte è questo l’atteggiamento che mi aspetto dai quadri scolastici quando sono chiamati a valutare ipotesi di cambiamento importanti. Sarei francamente rimasto deluso di fronte a giudizi acritici o inutilmente distruttivi, mentre credo che interrogarsi sulla sostenibilità e la ragionevolezza delle proposte con spirito costruttivo, formulando ipotesi per superare quelli che, a torto o a ragione, vengono individuati come ostacoli, sia parte del necessario dibattito. Un atteggiamento che sono del resto gli stessi direttori, nella premessa al loro documento, a indicare come la modalità di lavoro che ha inteso guidare la loro analisi.
Il risultato è interessante e ben più sfumato di quanto presentato su quel giornale. Se è vero, ad esempio, che essi si interrogano sulla coesistenza di laboratori e atelier, due forme didattiche proposte dalla riforma, è altrettanto vero che non hanno dubbi sulla necessità di promuovere nuove forme di insegnamento che permettano ai docenti di lavorare con effettivi ridotti, uno dei pilastri del progetto, o che danno sostanzialmente per acquisito il superamento del sistema dei livelli, altro elemento centrale della riforma.
Questa posizione, che dal Dipartimento è conosciuta da un paio di mesi, viene ampiamente considerata nella definizione del modello concreto su cui stiamo lavorando in queste settimane. Le preoccupazioni sulla salvaguardia del rapporto docente-allievo e della continuità didattica, ad esempio, questione al centro anche di altre prese di posizione, nel modello vengono tenute in considerazione mantenendo per i laboratori la forma che caratterizza i pochi laboratori presenti attualmente alle medie e rivedendo la formula dell’atelier. In sostanza, per l’allievo il docente di lezione, di laboratorio e di atelier sarà sempre lo stesso.
Oltre alle preoccupazioni inerenti al rapporto docente-allievo, le tematiche da approfondire, che ritroviamo anche nelle conclusioni dei direttori, ovvero una più esplicita sinergia con la messa in atto del Piano di studio, una struttura/griglia oraria non troppo complessa e sostenibile, la collaborazione tra docenti favorita ma non imposta, un’adeguata allocazione di risorse per i nuovi compiti di istituti e docenti, costituiscono certamente indicazioni utili, da considerare. Questo è il lavoro che sta facendo attualmente il mio Dipartimento e il risultato lo si vedrà tra qualche settimana. Tener conto delle critiche pertinenti (quelle che si basano sulla corretta comprensione del progetto) è interesse di tutti. Le premesse per una buona sintesi ci sono, sempre che la riforma non cada ostaggio di posizioni preconcette, che non servono a nessuno, soprattutto agli allievi.

Resistenza

È di ieri la notizia secondo cui l’ordine per la fornitura alla California di elettrotreni della ditta del signor Spühler, industriale e politico UDC, potrebbe essere bloccata dal neoprotezionismo di Trump. Se la comanda (si parla di centinaia di milioni) andasse in fumo, certo il primo a perderci sarà Spühler, ma anche i lavoratori della sua fabbrica non ne saranno sicuramente contenti. Non so quale sia la qualità dei contratti di lavoro vigenti nel settore, ma senza ordini diventa grama per tutti.

Questo è il prodotto del protezionismo sui Paesi che vivono di esportazione, o che in gran parte basano l’economia sull’esportazione. E la Svizzera è uno di essi. Lo stesso effetto lo avremmo se uscissimo dal mercato europeo, come sembra volerci portare una prossima iniziativa popolare dell’UDC.

I mercati aperti non hanno certamente solo effetti benefici, vi sono un sacco di storture che la politica può e deve correggere, ma la chiusura economica non è una soluzione.

Abbiamo bisogno di maggiori tutele sul mercato del lavoro, a livello svizzero e internazionale, di maggior ridistribuzione della ricchezza, di fiscalità più giusta, non di barriere di varia natura. Il muro che oggi sembra proteggerci domani ci chiuderà fuori, accentuando i conflitti e lasciando più vinti che vincitori sul campo. Per questo dobbiamo resistere alla tendenza al ripiegamento che sembra volersi imporre di questi tempi.

E questo naturalmente non vale solo per l’economia.

Ciao Giovanni

Quando la morte verrà

con il suo odore di strame

e io mi volgerò a lei come alla luce (…)

seppellitemi sotto il ceppo

a metà strada fra orto e pollaio

dove da undicimila anni le galline

frugano nel letame“.

(Giovanni Orelli, Concertino per rane)

Con la morte di Giovanni Orelli il Canton Ticino perde una figura importante di intellettuale di primo rango, dal forte impegno civile. Un docente che ha saputo dare così tanto alla nostra scuola e a legioni di studenti. Ma soprattutto ha perso un uomo di coraggio, di passione, di dedizione. Una luce forte in un cielo in cui sempre più si addensano nubi oscure e tristi.

Parc Adula, un’occasione da non perdere

Non sono bleniese, benché abbia un legame particolare con la Valle di Blenio iniziato molti anni fa, ma se lo fossi sosterrei il progetto di Parc Adula con convinzione. Perché gli argomenti finora sentiti e letti contro di esso sono poco consistenti e sembrano dettati più dallo scetticismo a priori che da altre ragioni.
Il parco nazionale è un marchio importante, che permette di far conoscere un territorio ad una larga fascia di turisti connotandolo al contempo come di gran pregio per la natura e il paesaggio. Porterà qualche risorsa in valle, permetterà di riorientare l’offerta turistica e, comunque la si veda, aggiungerà un riconoscimento positivo a questa magnifica regione. Certo, si può affrontare questa scelta anche con qualche reticenza, perché qualche piccola rinuncia il progetto la prevede, ma un’analisi anche sommaria dei pro e dei contro non giustifica un mancato sostegno allo stesso.
La montagna evoca grande libertà e grande bellezza, ma chi l’ama e chi la vive sa bene che merita soprattutto grande rispetto. Ed è proprio nel segno di questo concetto che si inseriscono le piccole limitazioni previste dal progetto se confrontate con la situazione attuale. Il progetto di parco nazionale infatti combina bene il consolidamento del rispetto per il territorio con la sua valorizzazione anche in chiave turistica, un’operazione intelligente sulla quale bisognerà ancora lavorare molto ma vantaggiosa per tutti. Per i vallerani, che avranno a disposizione un marchio sul quale costruire nei prossimi anni una parte della loro economia, per chi andrà a visitare il parco, che potrà continuare ad ammirarne la bellezza, e per il territorio, che tramite questo riconoscimento sarà adeguatamente preservato.
La scelta è di quelle che vanno valutate sul medio e lungo termine, non sui dettagli del presente. I bleniesi, che per decenni hanno sofferto della mancanza di grandi infrastrutture che altrove portavano un po’ di benessere, ora si ritrovano un patrimonio paesaggistico da poter valorizzare proprio per l’assenza di grandi strade e ferrovie. Spero tanto che alla fine a prevalere sia lo spirito positivo di chi intende orgogliosamente mettere in valore quello che ha piuttosto che il facile disfattismo.

Preoccupazione e comunicazione

Oggi dalle colonne della Regione il deputato Matteo Pronzini lamenta il mio ritardo nel rendere pubblica una posizione sui salari minimi, una posizione che per la verità non credo abbia stupito alcuno. Se ho scelto questo momento per presentare alcuni dati pubblicamente è perché sono stato tirato in ballo su questa questione da Alberto Siccardi, nel contesto di un dibattito tra lui e il presidente socialista Righini.
Questo ovviamente non significa che del tema non mi sia preoccupato in precedenza. Per quanto mi riguarda occuparsi delle cose non significa per forza comunicarlo ai quattro venti a getto continuo come fanno in molti, spesso non dicendo nemmeno gran che.
Se i minimi salariali attuali non sono soddisfacenti lo si deve certamente a una volontà politica maggioritaria reticente, ma anche al fatto che per legge le proposte di minimo salariale al Consiglio di Stato vengono dalla Commissione tripartita e non sono “costruite” direttamente dal Governo. Considerato che la proroga dei contratti normale sarà più semplice in futuro, che c’è in discussione il salario minimo generale (attuazione della norma costituzionale proposta dall’iniziativa “salviamo il lavoro in Ticino”) è probabilmente questo il momento per cercare di allargare il consenso attorno all’innalzamento dei minimi salariali, un consenso che finora non c’è.
Ciò vale anche per questioni salariali interne alla stessa amministrazione cantonale, poiché ancora oggi vi sono funzioni (non molte per fortuna) con salari inferiori a quelli da me presentati settimana scorsa (fr. 3’749 al mese per 12 mesi, pari alle prestazioni assistenziali per un’economia domestica ticinese media).
Uno strumento che, come sai bene, prima non esisteva e che, come accade ancora nei settori dove questi minimi non sono in vigore e non sono in vigore convenzioni collettive con norme salariali, è comunque meglio dell’assenza di qualsiasi minimo, rendendo perfettamente legali anche salari di 2’000.- franchi al mese.

Alziamo il livello dei salari minimi

Alberto Siccardi resiste raramente all’impulso di tirarmi in ballo anche quando c’entro poco e stavolta lo ha fatto citando i salari minimi previsti dai contratti normali di lavoro decisi dal Governo (cfr. Ticinonews dell’altro ieri ).
Concordo con lui, se ho compreso bene il suo dire, nel ritenere tali minimi troppo bassi e lo faccio con qualche cifra di confronto.
L’economia media ticinese è composta da 2,26 persone (dati Ufficio di statistica) e se una simile famiglia fosse a carico dell’assistenza pubblica avrebbe diritto a prestazioni finanziarie per fr. 3’749.- al mese, con oltre il 55% di quanto guadagnato destinati a pagare affitto e cassa malati. I parametri sono quelli della Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale, non quelli della Laps, per la quale il limite sarebbe di fr. 4’482.- mensili, e nemmeno quelli delle prestazioni complementari AVS/AI, per le quali il limite sarebbe di fr. 4’733.- mensili. Al di sotto di questa soglia siamo di fronte ad un caso di working poor secondo le definizioni ufficiali.
Ora, calcolando prudenzialmente una settimana di 42 ore (quella degli impiegati cantonali), il salario minimo per giungere a uno stipendio mensile (su 12 mesi, quindi senza tredicesima) pari alle prestazioni assistenziali è di fr. 20.60 all’ora.
Questa è invece la situazione dei salari minimi attualmente previsti dai contratti normali di lavoro vigenti in Ticino:

SETTORE – FR. ORA
Fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica (orologi esclusi) – 17.30
Settore orologiero (aziende non firmatarie della Convenzione) – 18.75
Gommisti non qualificati – 16.30
Gommisti qualificati – 19.45
Vendita al dettaglio (negozi con meno di 10 dipendenti)  – 17.30
Vendita al dettaglio (negozi con meno di 10 dipendenti) ass. di vendita – 18.55
Vendita al dettaglio (negozi con meno di 10 dipendenti) imp. di vendita – 19.70
Informatici dipl cant. O CFP – 18.00
Informatici AFC – 20.00
Informatici terziario B – 22.50
Informatici terziario A – 23.00
Impiegati di commercio – settore Consulenza aziendale – 19.65
Impiegati di commercio – società fiduciarie – 19.65
Impiegati di commercio – studi legali – 19.65
Commercio all’ingrosso add. Non qualificati – 17.30
Commercio all’ingrosso add. Qualificati e imp. di commercio – 19.65
Agenzie di viaggio – 19.65
Agenzie di prestito di personale (per settori esclusi da CCL) add. Non qualificati – 17.83
Agenzie di prestito di personale (per settori esclusi da CCL) add. Qualificati – 23.78
Call center – 19.50
Centri fitness ass. sala attrezzi – 17.30
Centri fitness istruttore fitness – 18.45
Centri fitness personal trainer – 22.45
Centri fitness club manager – 25.95
Centri fitness insegnante corsi – 31.25
Istituti di bellezza – 17.23

Come si può ben vedere, in diversi casi siamo sotto i fr. 20.60 orari, già calcolati secondo parametri molto prudenziali.
Ricordo che le proposte di salari minimi da definire nei contratti normali di lavoro devono essere avanzate dalla Commissione tripartita (cfr. art. 360a Codice delle obbligazioni), la quale è composta da membri in rappresentanza di Stato, aziende e sindacati, e che il Consiglio di Stato, a sua volta composto da persone con diversi orientamenti politici, è chiamato a decidere sulla base di queste proposte.
Personalmente sono ben d’accordo di sostenere una revisione dei minimi attuali, considerando che secondo i parametri prudenziali presentati sopra l’economia domestica media ticinese non riesce a vivere con un salario al di sotto di fr. 20.60 all’ora, ma per arrivarci bisogna trovare una maggioranza nella Commissione tripartita prima e in Consiglio di Stato poi.
Non sarò certo io a essere contrario a un simile adattamento di questi minimi e se Siccardi si facesse parte attiva verso le organizzazioni imprenditoriali per allargare il consenso in questa direzione, una volta tanto potremmo trovarci alleati.
Gli strumenti per ridurre il dumping in parte ci sono, anche se sono stati combattuti a Berna in primis proprio dall’area politica di Siccardi e se meriterebbero di essere ancora significativamente rafforzati. Funzionano e non necessitano di scardinare i nostri rapporti con l’Europa.
Ma bisogna che ci sia la volontà politica maggioritaria di farli funzionare.