Pubblicato sul Corriere del Ticino, marzo 2009
L’allentamento del segreto bancario, icona elvetica consegnata da 75 anni ad una banale norma penale, mette in luce un vecchio equivoco tutto rossocrociato che si può riassumere in una domanda: le banche svizzere hanno successo perché lavorano bene o perché la Svizzera è il luogo ideale per sottrarre denaro al fisco di Paesi esteri? Insomma, i nostri banchieri sono più competenti nella gestione del denaro altrui o più complici di un’attività eticamente non particolarmente benemerita?
L’equivoco si produce poiché il mondo bancario da un lato punta molto sulla propria professionalità, sul “know how”, sostenendo quindi con forza la figura del banchiere competente, ma nel contempo difende con i denti il principale “strumento di lavoro” del banchiere complice, appoggiandosi a artifici giuridici discutibili e concedendo qualcosina mai per volontà propria o per capacità di anticipare le crisi, ma solo quando è messo sotto pressione.
Fossimo certi della prima ipotesi, quella che si fonda sulla competenza, che io considero la più attendibile, non dovremmo preoccuparci più di tanto delle possibili conseguenze di un aumento della collaborazione internazionale contro l’evasione fiscale. A questo “sport”, per esempio, certamente non si dedicano gli investitori istituzionali esteri, in primis le casse pensioni, che depositano nelle banche svizzere una bella fetta dei molti miliardi provenienti da oltre confine.
Solo se fosse vera la seconda ipotesi, quella che vede le nostre banche dedicarsi massicciamente a nascondere i soldi dei clienti esteri dal fisco, quella per intenderci venuta esplosivamente alla luce grazie alle maldestre gesta di UBS in terra americana, la nostra piazza finanziaria dovrebbe iniziare davvero a preoccuparsi, anche se immaginare che questa pratica potesse passare inosservata ancora per molti anni era nella migliore delle ipotesi un’incredibile ingenuità.
Sia quel che sia, solo il futuro ci dirà quale dei due profili qui delineati corrisponde alla realtà delle banche di ieri. Certo è che solo puntando sul primo, quello del banchiere competente, meno avido e meno propenso a compiere gesta dissennate sotto l’impulso di bonus eccessivi, sarà consentito alle nostre banche di prosperare anche domani, con le ricadute in termini occupazionali e fiscali che conosciamo e che noi tutti ci auguriamo possano essere mantenute.
Competenza, quindi, ma anche necessità di superare qualche tabù difficilmente difendibile, che anche oggi, nel particolare momento in cui siamo, viene ancora ribadito e confermato acriticamente. Mi riferisco alla presunta necessità di garantire per tutti l’inaccessibilità del fisco ai dati bancari, con l’argomento della tradizione sulla riservatezza dei dati.
Detto di transenna che io non avrei nulla in contrario a che il fisco andasse a vedere i miei conti quando vuole e come vuole, perché come moltissimi altri cittadini non ho proprio nulla da nascondere, questa impostazione patologica dei rapporti tra cittadino e collettività pubblica, che individua quest’ultima come un potenziale avversario dal quale difendersi, oltre che far correre alla piazza finanziaria i rischi o di degenerare in lavacro dei capitali in fuga, appare in netto contrasto con l’interesse pubblico, che vorrebbe ridurre l’evasione fiscale, in modo da evitare la fastidiosa discrepanza tra chi le imposte le paga fino all’ultimo e chi paga poco o non paga nulla. Un discorso analogo e speculare a quello degli abusi sociali, che vanno combattuti per evitare lo sperpero di denaro pubblico a favore di persone che non adempiono alle condizioni per riceverli.
Negli ultimi tempi la Confederazione ha fatto dei passi nella giusta direzione, per esempio con la Legge contro il lavoro nero, che ha per scopo proprio di togliere dal sottobosco l’evasione contributiva e fiscale dei redditi da lavoro. Ma su questa strada bisogna perseverare, rendendo meno difficile alle assicurazioni sociali l’accesso al fisco e rendendo meno difficile al fisco l’accesso ai dati bancari. A guadagnarci sarebbero solo gli onesti ed il bene comune.