Cosa fanno le persone che vivono del loro lavoro e non sono in grado di ottenere per la loro prestazione lavorativa un salario decente? Si rivolgono allo stato sociale, che li sostiene con riduzioni dei premi di cassa malati, assegni familiari integrativi, borse di studio, assistenza pubblica. E chi paga i costi dello stato sociale? I contribuenti, in termini di prelievi sociali e di fisco. Sono quindi i contribuenti i primi ad avere interesse a che nel nostro Paese non si paghino salari troppo bassi, perché ciò produce un inutile carico aggiuntivo sullo stato sociale, quindi sulle loro spalle, quelle di tutti noi. Per questo l’iniziativa sul salario minimo in votazione il prossimo 18 maggio pone un problema concreto che va al di là della semplice questione di giustizia e va sostenuta.
Intendiamoci bene: lo stato sociale è necessario, opportuno ed elemento della civiltà di un Paese. Ma esso serve a sostenere le persone in difficoltà o comunque con situazioni di risorse ristrette e non può essere il “pentolone” nel quale scaricare cose che non hanno a che fare con i suoi obiettivi. Nel corso degli anni ’90 dello scorso secolo una parte delle aziende elvetiche, comprese alcune aziende pubbliche, utilizzò l’Assicurazione invalidità per “scaricare” sullo stato sociale parte dei propri dipendenti in esubero, con il risultato che i conti dell’AI andarono in rosso, l’AI venne riformata in senso restrittivo ed oggi a pagare le conseguenze di questa scelta sono una parte dei lavoratori che faticano a lavorare ma non hanno i requisiti restrittivi per accedere ad una prestazione d’invalidità.
Sostenere indirettamente, tramite lo stato sociale, quella parte di economia che non riesce o non vuole pagare salari adeguati a vivere in Svizzera è quindi, oltre che ingiusto, una distorsione del sistema sociale praticata sulle spalle dei contribuenti. È vero che vi è una parte dell’economia che farebbe fatica a pagare il salario minimo proposto, ma questa quota di aziende si trova comunque in una condizione di precarietà, tanto da dover essere sostanzialmente sussidiata dai contribuenti tramite lo stato sociale che interviene a favore dei suoi dipendenti compensando quella parte di salario che dovrebbe esserci ma non c’è. Una fetta di aziende che comunque necessita di una ristrutturazione per poter restare a galla.
Immaginare di poter continuare a tollerare salari troppo bassi per vivere in Svizzera significa anche continuare a mettere in conto che nel nostro Paese, soprattutto in Ticino, vi è e vi sarà anche in futuro una fetta di posti di lavoro che non saranno mai destinati ai lavoratori residenti, perché remunerati troppo poco. Poi non ci si lamenti dei lavoratori frontalieri, del traffico che generano e non ci si attacchi a quanto pagano o non pagano di imposte, perché non fissare una soglia minima decente ai salari pagati sul nostro territorio significa decidere che questa realtà sarà molto presente anche in futuro, non perché da noi manca questo o quel profilo professionale, ma per evidenti ragioni di dumping salariale legale.
Alcuni commentatori contrari all’iniziativa l’hanno descritta come un’interferenza intollerabile dello Stato nell’economia, dimenticando di dire che la sua accettazione avrebbe per effetto proprio di ridurre il peso dello stato sociale, chiamato a sostenere con soldi pubblici i lavoratori delle aziende che non vogliono o non possono pagare salari sufficienti per poter onorare le spese per l’affitto, i premi della cassa malati e le altre incombenze finanziarie che ogni famiglia deve comunque saldare a fine mese per non trovarsi nei guai.
Il salario minimo è quindi giustificato, sano dal profilo economico, opportuno per evitare di caricare sullo stato sociale anche l’aiuto indiretto a quella parte di economia che non riesce a soddisfare in maniera minima il contratto con i suoi dipendenti. Per il Ticino esso è utile a rendere accessibile ai lavoratori residenti quella parte di posti di lavoro che oggi risulta sostanzialmente inaccettabile perché pagata troppo poco e che domani, anche con i contingenti, resterà ad esclusivo appannaggio dei lavoratori frontalieri, gli unici in grado di accettare stipendi indecenti e totalmente inadatti per vivere da noi.