Pubblicato sul Corriere del Ticino, maggio 2009
La crisi finanziaria di fine 2008, ben presto trasformatasi in crisi economica, ha messo a nudo il meccanismo di avidità industriale che ha dominato il sistema finanziario negli ultimi anni. Senza più alcun legame concreto con la realtà economica, investitori professionisti, casse pensioni, società di rating, guru della finanza, hanno spinto il sistema a speculare su tutto e su tutti, valori industriali, previsioni future, debiti sulla casa ecc., trasformandolo in un assurdo casinò globale e portandoci ad una catastrofe che è stata valutata in 5’000 miliardi di dollari (un 5 con 12 zeri).
La crisi ha anche messo a nudo un paradosso stridente. Chi l’ha causata, le banche, se la sta cavando grazie ai soldi pubblici, il denaro di quello Stato tanto criticato in passato ma oggi così provvidenziale e indispensabile. E i suoi manager? Dopo aver dato lezioni di buon governo a tutti ed aver fragorosamente fallito proprio nella buona gestione, in nome del tanto decantato merito, per andarsene… hanno addirittura dovuto essere pagati! Una vera beffa. Chi non ha avuto alcuna responsabilità sarà invece chiamato a sopportare il conto reale, in termini di disoccupazione, di riduzione delle prestazioni ecc.
Una situazione che non può non generare anche rabbia e preoccupazione. In Francia alcuni operai inferociti si sono messi a sequestrare dei dirigenti aziendali, in Svizzera i sindacati e la sinistra hanno raccolto oltre 200’000 firme in tre mesi contro il furto delle pensioni e molta gente è preoccupata per il proprio futuro e quello dei suoi figli. I tassi di disoccupazione previsti in Europa e negli Stati Uniti fanno paura, senza pensare a quello che sta accadendo e che accadrà nei Paesi meno sviluppati e più fragili economicamente.
La politica internazionale sembra stia reagendo a questo crollo sistemico con la consapevolezza di ritrovare quel ruolo centrale al quale per molto tempo ha rinunciato, nella convinzione ideologica, sbagliata, che fosse meglio così. Nuove regole, più vicinanza tra economia vera e sistema finanziario, massimi remunerativi dei manager sono solo alcune delle opzioni su cui si sta discutendo e che, forse, ci permetteranno di tradurre in pratica qualcuno degli insegnamenti che questo sfacelo ci ha permesso di trarre.
Ma anche a livello nazionale e locale è necessario agire al di là dei programmi anticrisi messi a punto dai poteri pubblici. Due questioni mi paiono particolarmente importanti.
La prima tocca il sistema finanziario svizzero e il segreto bancario, che questa crisi ha messo ormai in ginocchio. Sono anni che i banchieri sono consapevoli del fatto che la situazione attuale prima o poi avrebbe dovuto essere cambiata, perché il meccanismo del segreto è indifendibile quando da strumento di privacy diviene strumento di complicità nell’evasione fiscale. Non bisogna essere ingenui, soprattutto di fronte ai Paesi che si ergono a giudici e che hanno i paradisi fiscali in casa, ma neanche sciocchi da pensare che la coda di paglia degli altri ci permetterà di nascondere la nostra. Oggi più che mai è venuto il momento di essere attivi per difendere il settore bancario puntando sulla qualità dei servizi, sulla competenza, sull’esperienza accumulata in tanti anni di attività. Questo e solo questo può essere il fondamento di un settore finanziario sano, non in balia dei venti politici, capace di generare posti di lavoro e ricchezza in maniera duratura. Le altre sono scorciatoie che nel medio periodo si pagano, magari anche senza essere per forza nel torto, perché si reggono su basi troppo fragili.
La seconda questione riguarda invece la demenziale concorrenza fiscale interna, alla quale deve essere posto un freno per evitare che il sistema degeneri. In uno Stato federalista nel quale il federalismo si applica anche ad una parte del sistema fiscale, i Cantoni ed i Comuni devono avere un certo spazio di manovra e di decisione sul livello impositivo. Ma quando questo margine di manovra viene abusato per rincorrere a tutti i costi i buoni contribuenti, nel segno di un aiuto pubblico alla massimizzazione dei profitti dei più ricchi, quel sistema di pensiero che ci ha portato alla catastrofe finanziaria sotto gli occhi di tutti, allora bisogna saper dire basta, bisogna intervenire per porre dei limiti chiari e invalicabili.
Purtroppo ho la sensazione che, né in Svizzera, né in Ticino, sia oggi presente una maggioranza politica capace di affrontare con decisione i due problemi qui segnalati, superando l’impianto ideologico all’origine della recente crisi mondiale, quasi si stia aspettando che passi l’uragano per tornare… al passato. Una visione poco lungimirante, che in mancanza di cambiamenti nel medio termine, con tutta probabilità, produrrà quell’instabilità da clima tropicale, nel quale ogni anno gli uragani si susseguono uno dopo l’altro con la popolazione in balia degli eventi.