Manuele Bertoli Un modo si trova – Pensieri, appunti e proposte di politica e altro

I primi vent’anni dal 2000

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La fine di un decennio è motivo di riflessione su ciò che è stato e ciò che poteva essere. Fra pochi giorni entriamo nel 2020, chiudendo così i primi vent’anni del nuovo secolo. La prima domanda, la più semplice, sorge spontanea: stiamo meglio oggi in Canton Ticino rispetto al 2000?

Per tentare di rispondervi, anche solo brevemente e parzialmente, va constatato preliminarmente come negli ultimi vent’anni la politica ticinese abbia soffiato soprattutto a destra, rafforzando la presenza in governo della Lega dei Ticinesi, indebolendo il rapporto di fiducia fra cittadini e istituzioni pubbliche e segnando qualche battuta d’arresto sul fronte della redistribuzione della ricchezza. Non solo. Prevalente, soprattutto nel Parlamento cantonale, è stato un sentimento abbastanza confuso di appartenenza identitaria, dove la “pancia” è sembrata avere la meglio sui principi fondamentali, che però alla fine hanno inevitabilmente funto da baluardo. E le proposte, roboanti nei toni, sono desolatamente rimaste vuote enunciazioni, senza alcuna conseguenza. Esemplare, a questo proposito, l’epopea cantonale del “primanostrismo”.

Quali risposte sono dunque necessarie dopo vent’anni di effimera liquidità? Scrive Tzvetan Todorov: “La separazione e la chiusura delle culture o delle comunità sono più vicine al polo della barbarie, mentre il loro riconoscimento reciproco è un passo verso la civiltà”. Noi ticinesi, cittadini svizzeri facenti parte di una comunità minoritaria, ne sappiamo qualcosa. Aggiunge il filosofo bulgaro naturalizzato francese: “Il denaro pubblico deve andare di preferenza a ciò che riunisce, non a ciò che isola”, perché senza una vera realizzazione nel patto sociale fra Stato e cittadini, l’individuo è condannato alla miseria e spinto alla violenza. Todorov, infine, ci ricorda che certo siamo tutti diversi uno dall’altro e che la volontà di tutti corrisponde alla somma delle differenze. Condannate, quest’ultime, a convivere in armonia ed equilibrio. In questo caso è la divisione che fa la forza, non il contrario.

Per vent’anni, in Ticino come altrove in Europa, la politica della destra ci ha portati sulla riva opposta. Dall’inizio del nuovo secolo la paura ha avuto il primato sulla ragione, la presunta sicurezza sulla libertà, l’idea identitaria sulla solidarietà, la spinta alla competizione sullo spirito di cooperazione. La perdita di ogni riferimento noto (la propria comunità, il proprio lavoro e a volte persino la propria famiglia) ha soffocato ogni desiderio di cambiamento, di speranza. Tutto ciò dentro un orizzonte sempre più individualista, più atomizzato, meno sociale. Sepolte le “città future” delle ideologie nate nell’Ottocento, si sono perse anche le mappe del “progresso”, parola quest’ultima oggi in disuso se non addirittura dileggiata o osteggiata, perché insidiosa.

È uscito in dicembre lo studio annuale di Bankitalia che analizza il rapporto fra Prodotto interno lordo (Pil) e invecchiamento della popolazione. Partendo dal presupposto che nel 2041 in Italia ci saranno 1,2 milioni di residenti in meno (per denatalità e riduzione degli stranieri) e 6 milioni di pensionati in più, la produzione della ricchezza misurata dal Pil calerà del 15 per cento e il reddito pro-capite del 13 per cento. Il fenomeno potrebbe mutare in meglio alla fine del 2041, quando la massa dei baby boomers passerà a miglior vita.

Ma sino allora, entro i prossimi vent’anni, come si può frenare questo andamento non certo positivo? Una domanda che coinvolge anche il Canton Ticino, dove l’andamento demografico e la politica antistranieri non sono così diversi da quanto si registra nella vicina penisola.

A me sembra evidente come l’orizzonte, per tutte le donne e gli uomini di buona volontà, sia necessariamente una sana inversione di rotta. Verso la valorizzazione dei processi di inclusione culturale, verso il ritorno all’ammodernamento positivo dello stato sociale e non alla sua demolizione, verso regole di governo del mercato del lavoro orientate al bene comune e naturalmente verso politiche di compatibilità ambientale che garantiscano a chi verrà dopo di noi un futuro.

E proprio i giovani che costringono la nostra società ad accorgersi del peggioramento delle condizioni climatiche dovuto all’agire dell’uomo rappresentano una nuova speranza. Purché, grazie agli strumenti della formazione e della conoscenza, sappiano tradurre le giuste rivendicazioni in elementi di risposta davvero efficaci, capaci al contempo di affrontare la gigantesca sfida climatica e, valorizzando cooperazione e collaborazione, la non meno importante sfida sociale presente e futura.

Gennaio 2020

Manuele Bertoli Un modo si trova – Pensieri, appunti e proposte di politica e altro

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