La buona politica sa leggere la realtà e impostare le basi per il benessere collettivo sul medio e lungo termine. La buona politica non alza gli steccati ideologici, ma sa adattare i valori delle ideologie al pragmatismo della contingenza. Ecco perché anche in Canton Ticino l’emergenza Covid-19 deve insegnare qualcosa a tutti coloro che si impegnano per la promozione delle libertà, per l’applicazione e la diffusione dei diritti e per una comunità più forte, economicamente prospera e inclusiva.
La pandemia generata dal Coronavirus ha cambiato radicalmente le nostre abitudine e impone un altrettanto radicale mutamento delle nostre aspettative. Già tutti gli istituti economici elvetici stanno prevedendo un consistente calo del Prodotto interno lordo per l’anno in corso, che tradotto in denaro significa meno produzione, meno esportazioni di beni, meno consumi interni e meno lavoro. In una società che per ora fa ancora dipendere il benessere dalla crescita economica, l’impatto sui settori sociali più fragili (ma anche su quelli medio-alti) sarà devastante. Lo Stato sarà chiamato a tamponare disagi e l’emergenza di nuove povertà. Ma l’intervento sociale, per quanto fondamentale sul breve periodo, non può bastare.
Per questo occorre cambiare paradigma. Fra qualche mese saremo in grado di fare i primi bilanci e, analizzate le situazioni settore per settore, ramo per ramo, regione per regione, si dovranno rivedere il Piano finanziario e le Linee direttive cantonali, perché quanto stiamo ancora vivendo è paragonabile (tutti gli esperti concordano) a un vero e proprio stato d’emergenza postbellica, con tutti i traumi che ne derivano. Nulla sarà più come prima. Neanche ciò che ha sorretto l’impalcatura finanziaria dei recenti bilanci pubblici, freno ai disavanzi compreso. Rilanciare l’economia vuol dire aprire i rubinetti, inaugurare un vero piano anticiclico capace di gettare basi strutturali per un nuovo sviluppo. Anche in Canton Ticino.
La diffusione globale del Covid-19 ci ha nuovamente indicato, fra l’altro, quanto sia illusorio credere nell’espansione incontrollata dell’antropocentrismo, della supremazia dell’uomo sull’ambiente, sulla Terra che lo ospita. Per questo il nuovo sviluppo dovrà potersi inserire in un nuovo paradigma internazionale, per il quale crescere e distribuire equamente ricchezza non significa per forza avvelenare l’ambiente. Non mi hanno mai convinto troppo I saggi sulla decrescita felice, non tanto per le analisi della situazione attuale, in genere molto accurate, ma per la vaghezza o la sostanziale impraticabilità delle soluzioni avanzate, a mio modesto parere poco utili per un dopocrescita comunque di benessere. Ma la cosiddetta “green economy”, l’economia verde, ha da tempo molte frecce al proprio arco per rimpostare un progresso decisamente più sano e meno violento. Partendo però dalle regole e quindi ricollocando la politica al centro del villaggio globale. Sarà solo grazie a regole eque e condivise che tutte le democrazie potranno superare questa e nuove emergenze pandemiche, grazie a uno sviluppo armonioso, rispettoso, pubblicamente sotto controllo, davvero inclusivo. Ma non c’è tempo da perdere. Il cambiamento, in Ticino, dovrà essere parte importante già di questa legislatura, con un rilancio dell’economia produttiva sostenibile e della ridistribuzione della ricchezza. Promuovendo la ricerca, i settori e le professioni ad alto valore aggiunto, ma soprattutto permettendo una graduale transizione da un’economia di rendita a un ‘green new deal’ del terzo millennio, capace di confrontarsi quotidianamente con le sfide intercantonali, transfrontaliere e internazionali. Perché questa e non altra è l’acqua dove nuotano i pesci. Non stagni, ma mari aperti, dove ogni isola è parte del tutto, dove a ritrovare pace e benessere dopo la crisi è l’arcipelago nel quale viviamo tutti.
Pubblicato sulla Regione, Aprile 2020