Pubblicato su Area, febbraio 2007
Al catartico Congresso liberale del 27 gennaio scorso Giovanni Merlini ha ripreso un concetto caro al PLRT, quello della leadership politica cantonale. “Se vogliamo continuare a rivendicarla dobbiamo trovare la forza di reagire ai problemi posti dalla questione morale” ha tuonato il presidente del partito di maggioranza relativa.
Qualche giorno dopo, il 1° febbraio, Fabio Bacchetta Cattori ha annunciato urbi et orbi, quasi fosse il terzo segreto di Fatima, il terzo messaggio elettorale del PPD: “Siamo pronti ad assumere la leadership politica di questo Cantone”.
Che significato dare a queste parole?
Il PLRT, partito di maggioranza relativa, il cosiddetto “partitone”, può ancora parlare di leadership politica del Cantone con un consenso elettorale attorno al 30% e dopo 12 anni di masonismo che lo ha lacerato profondamente? Ne dubitiamo. Certo storicamente nel secolo scorso è effettivamente stata una forza politica determinante per le scelte importanti del Cantone, senza il consenso della quale era praticamente impossibile fare dei passi avanti. Ma i tempi sono cambiati, e di molto. La leadership liberale-radicale è oggi più un retaggio del passato che una realtà vera, anche se ai dirigenti del PLRT piace ragionare come se si fosse ancora negli anni in cui poco meno di un ticinese su due votava per questo partito. Una leadership concreta ormai sgretolatasi, trasformatasi parzialmente nell’arroganza tipica dei monarchchi decaduti, che continuano a girare con la corona in testa anche quando il regno ormai non c’è più.
Se quella liberale è una leadership in crisi, quella presunta del PPD è quasi una barzelletta. Partito tipicamente gregario, vissuto negli ultimi decenni quale comprimario dei liberali-radicali nell’occupazione dello Stato e il cui consenso è sempre stato regolarmente “retribuito” con un lauto tributo di poltrone e mandati pubblici, il PPD non ha il profilo di una forza politica trainante, d’avanguardia, né tantomeno dispone di un consenso elettorale sufficiente per fare questi discorsi.
La questione della leadership potrebbe quindi essere archiviata come l’ennesima “boutade” elettorale, facendoci su una bella risata. Sotto elezioni se ne sentono tante…
Eppure il discorso del partito-guida non va sottovalutato, perché tradisce una visione della gestione del potere politico dove lo spazio per la ricerca del consenso, per la mediazione, per il rispetto delle posizioni altrui è poca, molto poca.
I socialisti lo hanno ben sperimentato durante questa legislatura, che ha vissuto quattro momenti distinti. Il primo è stato quello dell’intimidazione, con il “putch” del 17 ottobre 2003, quando Patrizia Pesenti è stata estromessa di fatto dal Governo in cui era stata da poco brillantemente rieletta perché non voleva accettare la nuova politica dei tagli. Abbandonata in fretta e furia quella strada sotto la pressione popolare, si è passati al secondo momento, quello dell’isolamento politico e della prova di forza con il PS. Ma la “partita” dinanzi al popolo si è risolta il 16 maggio 2004 con una bella affermazione della sinistra. Solo a quel punto è stato possibile discutere, trattare alla pari, arrivando al terzo momento, quello della concertazione sull’ornmai famoso Preventivo 2005. Una stagione purtroppo subito abbandonata, con la scusa del nostro appoggio all’iniziativa popolare dell’MPS “I soldi ci sono”, per tornare nel quarto momento all’isolamento, alla prova di forza sulla politica dei tagli del Preventivo 2006.
Ma davanti al popolo ancora una volta la maggioranza di governo è uscita sconfitta, dovendo addirittura incassare la sconfessione giudiziaria sui tagli ai sussidi di cassa malattia. E mentre il secondo tiro alla fune ha messo in evidenza le debolezze di chi fa fatica a trattare con noi, sono arrivati il Fiscogate e tutti i grandi e piccoli scandali su mandati e appalti pubblici.
Fa piacere leggere nei programmi elettorali di PLRT e PPD ampi accenni alla necessità di coesione, di concertazione, di ricerca del consenso, ma la storia politica recente dimostra che queste forze politiche ne avrebbero volentieri fatto a meno. Oggi si tratta per loro di una scelta obbligata, impostasi da sola dopo il sostanziale fallimento di tutte le altre strade perseguite.
Una via accettata a denti stretti, che per divenire credibile deve però anche passare dall’abbandono dei discorsi sulla leadership politica di questo o quel partito, perché antitetici alle necessità di trovare un’ampia convergenza politica sulle priorità per il Ticino di domani.