Il Ticino ha due obiettivi nel quadro delle trattative fiscali con l’Italia.
Il primo, di ordine economico, riguarda il futuro della nostra piazza finanziaria e dei suoi posti di lavoro qualificati, già sottoposti alla delicata transizione verso lo scambio automatico di informazioni fiscali, che a medio termine porterà più trasparenza e modificherà il profilo del settore finanziario rispetto al passato. Per raggiungerlo la Confederazione ritiene sia opportuno cercare un accordo con l’Italia che punti a mantenere da noi i capitali gestiti dalle banche in un regime di trasparenza fiscale verso i nostri vicini. Un accordo fattibile, perché entrambi i Paesi hanno interessi propri da far valere. Noi continueremmo a fornire servizi bancari, loro avrebbero un ritorno fiscale, ma soprattutto nessuno dei due ne uscirebbe in perdita, cosa che potrebbe accadere se questi capitali partissero per lidi lontani. Nel quadro di questa trattativa Berna chiede di poter allargare la discussione ad altri ambiti, sui quali siamo solo noi ad avere interesse a trattare, come le questioni di doppia imposizione, i ristorni dei frontalieri e le black list.
Il secondo obiettivo, di carattere finanziario, consiste nel tenere in Ticino i famosi ristorni dei frontalieri, che per le casse cantonali pesano annualmente per 30 milioni, la metà dei famosi 60 milioni che in parte sono di pertinenza dei Comuni (24) e in parte della Confederazione (6). Una somma di un certo rilievo, ma inferiore all’1% del nostro budget e pari a meno di un terzo di quanto ci siamo accollati ogni anno dal 2012 per le cliniche private senza fare una piega. Come detto Berna intende risolvere questa questione mediante la trattativa, collateralmente al punto centrale inerente alla piazza finanziaria.
Non vi è dubbio alcuno sul fatto che il primo dossier abbia un peso specifico decisamente più elevato del secondo e che questa differenza di peso debba essere considerata al momento di decidere cosa fare.
La domanda fondamentale che il Consiglio di Stato deve porsi è quindi una sola: salvaguardiamo meglio i nostri interessi continuando ad appoggiare la trattativa con gli italiani oppure è più utile una prova di forza, come potrebbe accadere con un nuovo congelamento dei ristorni?
La prima strada non ha garanzie di successo, ma qualora desse dei risultati non potrebbero che essere positivi. La piazza finanziaria è una parte importante della nostra economia, lo sarà anche in futuro grazie alle molte competenze presenti, anche in un contesto fiscale più trasparente, e se riuscissimo a darle una mano in questo periodo non facile ci faremmo solo del bene. La seconda non mi pare invece particolarmente intelligente, perché produrrebbe uno stop delle trattative, paradossalmente proprio quelle che ci eravamo rallegrati di aver fatto ripartire grazie allo sblocco dei ristorni dopo il primo congelamento, provocherebbe l’aumento dell’instabilità senza alcuna prospettiva di soluzione reale e riaprirebbe il balletto sul quando e a che condizioni procedere al versamento bloccato.