Manuele Bertoli Un modo si trova – Pensieri, appunti e proposte di politica e altro

Nuova Legge stipendi: paternalista e inopportuna

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Pubblicato sulla Regione, luglio 2010

Dopo anni di preliminari, il Gran Consiglio ha proceduto alla riforma della Legge sull’ordinamento degli impiegati e dei docenti (LORD) e della Legge stipendi (Lstip).

Nella nuova LORD è stato introdotto, all’unanimità, il concetto di gestione per obiettivi, che prevede di definire per i funzionari obiettivi di lavoro individuali e collettivi, per unità amministrativa, nonché alcuni adeguamenti per migliorare la compatibilità tra famiglia e lavoro (lavoro parziale). All’unanimità, tanto che su questa legge non ci sono state grandi discussioni, visto che essa è stata sostanzialmente aggiornata dopo molti anni alla realtà attuale. Anche il riconoscimento del sistema della gestione per obiettivi per numerosi uffici e servizi non fa che riconoscere de lege cose che nella pratica esistono da un bel po’, per fortuna, tanto che vi sono anche una serie di servizi pubblici cantonali riconosciuti da tempo dagli standard ISO, ben più esigenti quanto a valutazione di obiettivi e processi di lavoro. Snobbata per contro l’unica vera riforma possibile, proposta dalla sinistra, consistente ad abbandonare la legge come base normativa per regolare i rapporti tra Stato e dipendenti, per passare ad un contratto collettivo negoziato tra Consiglio di Stato e rappresentanze dei dipendenti in un quadro finanziario dettato dal Gran Consiglio.

Il pomo della discordia è stata invece la riforma della Legge stipendi, che nella sua versione uscita a fine giugno dal Parlamento cantonale intende collegare il raggiungimento degli obiettivi agli aumenti di stipendio. Invano la sinistra ha chiesto di dividere le cose condivise da quelle contestate, evitando così un referendum complessivo inutile, ma la maggioranza non ha voluto sentir ragioni imponendo così un referendum unico su tutto, Legge stipendi e LORD..

Secondo Consiglio di Stato e Gran Consiglio l’attuale sistema di remunerazione sarebbe caratterizzato da eccessivi automatismi, come gli scatti annuali di stipendio. Il sistema è naturalmente sempre perfezionabile, ma io credo che abbia invece il grande pregio di essere trasparente e chiaro quanto al livello salariale dei dipendenti. Soprattutto esso parte dal presupposto, contrattualmente ineccepibile, secondo cui ad un lavoro compiuto correttamente corrisponde uno stipendio certo e definito. Se il lavoratore non fa il suo dovere è normale e opportuno, anche per il rispetto dovuto ai colleghi e agli utenti, che si intervenga, eventualmente con sanzioni anche sul salario. Ma se questo non è il caso, lasciare al datore di lavoro in maniera unilaterale il compito di definire una parte del salario misurando le cosiddette “performances”, è estremamente discutibile. Sarebbe come lasciare al lavoratore il diritto di definire unilateralmente una parte dei suoi compiti, ipotesi che cozza contro il concetto stesso di contratto bilaterale.

La minoranza ha invano sostenuto la tesi secondo cui, invece di agire con un sistema che premia le supposte migliori performances, si agisca contro chi non lavora correttamente, chi non adempie al proprio contratto e così facendo danneggia i colleghi di lavoro e utenza. Una simile prospettiva sarebbe stata più circoscritta nell’uso delle risorse, avrebbe implicato un minor rischio di arbitrio e sarebbe stata molto più facile da implementare, quindi più efficace. La maggioranza non ha al proposito voluto sentir ragioni ed ha confermato in toto l’impostazione del Consiglio di Stato, che insiste con un modello paternalista, non basato su una partnership tra datore di lavoro e lavoratore che si obbligano l’uno a fornire un salario definito e l’altro determinate prestazioni di lavoro, ma su un sistema piuttosto antiquato di concessioni, lasciando al solo datore di lavoro, bontà sua, di decidere come dovrà evolvere il salario nel tempo. Un’involuzione nei rapporti di lavoro, che di fatto sul punto centrale del salario non tratta le due parti in maniera equilibrata e paritetica, come imporrebbe la logica contrattuale.

Oltre che paternalista la nuova Legge stipendi è anche inopportuna. Per il servizio pubblico c’è infatti un forte rischio che, soprattutto nei servizi dove il contatto tra i funzionari e l’utenza necessita di`approcci differenziati a seconda dei casi, tutto venga ridotto all’adempimento di obiettivi quantitativi, i più facili da misurare e da collegare agli incentivi salariali, riducendo così tutto alla necessità di raggiungere annualmente gli standard statistici predefiniti. Se la cosa può avere un senso per le produzioni, per esempio di automobili, a me pare controproducente usare questi metodi per esempio per gli operatori sociali, gli addetti dell’Organizzazione sociopsichiatrica, la polizia, la scuola (quest’ultima per ora non toccata dalla riforma, ma è solo questione di tempo), invece di puntare, in questi settori, sulla professionalità delle persone, sull’orgoglio di svolgere bene il proprio lavoro.

Per questo il referendum che sta raccogliendo le firme in questi giorni è da sostenere: esso pone un tema che va ben al di là della questione puramente sindacale e propone un dibattito sul concetto stesso di servizio pubblico che vogliamo per il nostro Cantone.

Manuele Bertoli Un modo si trova – Pensieri, appunti e proposte di politica e altro

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