Tra i dieci comandamenti ve n’è uno, l’ottavo, che impone ai credenti di non dire falsa testimonianza, cioè di non mentire. Strano che il presidente del PPD Giovanni Jelmini l’abbia scordato quando un paio di giorni fa, a commento dei lavori del Comitato cantonale del suo partito, se ne è uscito in radio e in televisione sostenendo che nella scuola pubblica ticinese si promuova la sostituzione del personale insegnante residente con quello frontaliero per motivi speculativi. Una bugia bella e buona che non gli fa onore poiché detta sapendo di mentire o poiché, peggio, detta senza saperne abbastanza.
Non so bene a quale tipo di speculazione intendesse accennare Jelmini, ma siccome anche i paracarri sanno che i salari degli insegnanti sono identici sia che essi provengano dal Ticino, dall’Italia o dalla Cina orientale, evidentemente non faceva riferimento alla speculazione che purtroppo viene messa in atto in parte della nostra economia, dove viene praticato il dumping e si approfitta del personale frontaliere per pagare salari inferiori, specie dove mancano contratti collettivi. I docenti della scuola pubblica ricevono il salario in base ad una classificazione che è indipendente dal loro domicilio, lo Stato non guadagnerebbe un franco assumendo personale frontaliere e quindi questa illazione, oltre che del tutto gratuita e falsa, risulta anche insensata.
Ma la frottola più pacchiana è quella riferita alla cosiddetta “promozione” della sostituzione dei docenti residenti con quelli esteri. Benché ormai in questo Cantone il vizietto della maldicenza abbia preso uno spazio spropositato, io rimango sempre di stucco di fronte al suo uso spregiudicato. Se le parole hanno ancora un senso, promuovere significa adoperarsi attivamente affinché un certo risultato si produca. Suggerire che la scuola pubblica promuova la sostituzione di personale docente residente con docenti frontalieri significa sostenere che qualcuno, attivamente, lavori per questo risultato. Cosa che solo chi è in perfetta mala fede o ignora totalmente i meccanismi di selezione dei nuovi docenti può affermare.
Jelmini finge di non sapere che per legge i docenti devono essere abilitati (art. 47 della Legge della scuola) e che non è possibile oggi nominare persone non abilitate in luogo di persone in possesso di un’abilitazione. Capita a volte che nelle selezioni candidati italiani con l’abilitazione, che a causa della situazione economica nel loro Paese sono molti, risultino migliori di candidati residenti abilitati. Noi facciamo tutto il possibile per assumere i “nostri”, ma le selezioni non sono una passeggiata ed il loro scopo è di valutare la competenza, non la residenza. Dove possiamo prendiamo anche persone residenti non abilitate con i cosiddetti incarichi limitati, ma queste persone prima o poi devono passare dalla selezione per ottenere la nomina.
C’è chi ha proposto di togliere la condizione dell’abilitazione in alcuni casi nei concorsi, proposta che se attuata da un lato si tradurrebbe in una manifesta disparità di trattamento verso tutti i docenti che con impegno hanno effettuato questo percorso professionalizzante, ma soprattutto che dall’altro lato aumenterebbe significativamente il numero di candidature dall’Italia, poiché anche per queste persone l’abilitazione non sarebbe più una condizione necessaria. Mettessimo in pratica questo suggerimento invece di centinaia di candidature dalla vicina Repubblica ne avremmo migliaia.
La questione di fondo in tutta questa storia è però un’altra ancora e si riassume nella domanda: è meglio un ottimo docente non residente o un docente residente meno bravo? La risposta dipende dal punto di vista dal quale si guarda la scuola. Se a questa domanda si intende rispondere con un occhio di riguardo per la sua qualità la risposta sarà inevitabilmente la prima. Se invece si considera la scuola non per quel che deve fare, ma per il suo carattere di grande datore di lavoro (vi lavorano migliaia di persone), allora la risposta potrebbe anche essere la seconda. Tutto quel che è possibile fare per favorire l’accesso alla professione docente da parte di chi risiede in Ticino va fatto, ma non a scapito della qualità di questa istituzione. A pagarne il prezzo sarebbero le giovani generazioni, quindi in definitiva la nostra collettività intera.
Replica alla reazione di Jelmini
Caro presidente Jelmini,
forse lei si riferiva ad altro, forse ha usato parole sbagliate, forse è stata colpa dei giornalisti, ma un conto è dire che la scuola promuove la sostituzione di docenti residenti con docenti esteri, altro discutere di abilitazioni. Si riguardi in streaming le sue dichiarazioni pubbliche e troverà il primo concetto, inveritiero, non il secondo.
Quanto alle abilitazioni, che per inciso sono effettuate dal DFA della SUPSI e non dal Cantone, gli studenti ticinesi con un diploma accademico che non possono iniziare immediatamente l’abilitazione sono pochissimi, lo ammette lei quando parla di “materie specialistiche”. Se si vogliono organizzare abilitazioni ogni anno per due o tre studenti si può fare, ma come immaginerà costa molto ed in molti, lei compreso, oggi ci chiedono di spendere meno. Anche per questo si attende di avere un certo numero di abilitandi prima di far partire i corsi in queste materie particolari, tenendo conto oltretutto delle reali necessità di personale docente. Nel frattempo queste persone comunque spesso fanno supplenze, ottengono incarichi limitati e poi in genere tutte trovano lavoro nella scuola pubblica.
Per risolvere il problema di queste poche persone è da un pezzo che seguiamo l’undicesimo comandamento da lei stesso coniato, con gli incarichi limitati quando possibile e da settembre con la formazione parallela alla professione.
E allora, visto che vogliamo far concorrenza a Mosè, la inviterei gentilmente la prossima volta a seguire il dodicesimo precetto, che dice “parla chiaro e prima di farlo informati”.