La Commissione scolastica del Gran Consiglio ha respinto l’iniziativa popolare “per un fondo per la formazione e il perfezionamento professionale” opponendole un controprogetto vuoto. La discussione parlamentare si terrà nella seconda metà di marzo e, qualora la maggioranza del Gran Consiglio confermasse questa scelta, su questo tema si andrà a votare.
Come spesso accade, dopo le tante parole di tutti i politici di tutti gli schieramenti a favore della formazione dei giovani, anche come antidoto alla precarizzazione e alla disoccupazione, quando si tratta di agire concretamente, di intervenire davvero, la musica cambia. L’iniziativa, di cui sono primo proponente, chiede a tutte le aziende di contribuire alla formazione dei giovani. Oggi solo un quinto di esse lo fanno, assumendo e preparando apprendisti, mentre la grande maggioranza sfrutta il lavoro di questa parte responsabile del mondo imprenditoriale, campando sul lavoro di formazione fatto da altri. Le associazioni padronali, prima di tutte la Camera di commercio, invece di stimolare concretamente tutte le aziende a collaborare alla formazione dei giovani, si scaglia contro l’iniziativa, di fatto difendendo la posizione di chi, all’interno del mondo economico, non si assume questo onere.
Eppure di recente i responsabili nazionali dell’azione sociale hanno individuato nella scarsa formazione uno dei fattori di potenziale dipendenza dei giovani dagli aiuti pubblici, dalla socialità, i cui costi in ascesa, a parole, preoccupano molto i rappresentanti dell’economia. Ma ora che si tratta di passare ai fatti, di fare qualcosa di concreto per togliere una parte dei giovani dalla precarietà dando loro lo strumento primo per stare in piedi sulle loro gambe, l’azione non è conseguente.
Perché questa incoerenza manifesta? Ma per soldi, ovvio. L’iniziativa, che ha considerato anche la situazione delle casse pubbliche, non chiede più soldi allo Stato, ma chiede a tutte le aziende di partecipare al fondo con un importo che va dal 0,3 al 0,7 percento della massa salariale. Il fondo poi rifonderà solo le aziende che concretamente si occuperanno di formazione, assumendosi costi che oggi ricadono su queste imprese. Chi formerà avrà dei vantaggi, o non avrà alcun svantaggio come accade ora, chi continuerà a non assumersi questo onere dovrà contribuire allo sforzo fatto da altri. Ma per il vertice delle associazioni economiche è fuori discussione chiedere qualcosa alle aziende: più dei buoni propositi poté il borsello, si potrebbe dire.
La disponibilità di manodopera preparata, aggiornata nella propria preparazione grazie al perfezionamento professionale e alla formazione continua, altro tassello dell’iniziativa, è nell’interesse della società e delle imprese. La società potrebbe essere meno sollecitata ad intervenire con gli aiuti sociali alle persone demunite e le imprese troverebbero personale adeguato per rispondere alle sfide economiche importanti del giorno d’oggi. La società interviene già nel settore della formazione professionale attraverso lo Stato, che se ne occupa da tempo con sforzi apprezzabili. Ora tocca al mondo delle imprese dare il buon esempio, senza scaricare nuovamente sull’ente pubblico questa incombenza, assumendo un atteggiamento che premi chi si assume questo onere importante.
E per i politici che si riempiono la bocca di preoccupazioni per i giovani, di buoni propositi per la formazione, si tratta di passare dalle parole ai fatti.