Secondo dati recenti il numero complessivo di persone che nel mondo fuggono da persecuzioni, conflitti e violenze ha raggiunto 108.4 milioni di esseri umani ed il 40% della popolazione mondiale dei rifugiati è composta da bambini. I paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono la Turchia, l’Iran, la Colombia, la Germania e il Pakistan e i ¾ di essi è ospite di Paesi a basso e medio reddito.
Nel 2022 i richiedenti asilo nell’Unione europea sono stati 0.88 milioni, nel 2021 0.54 milioni, una quota che rappresenta meno del 1% dei rifugiati mondiali e tra il 1.2 e il 2 per mille della popolazione europea. Di fronte a questi numeri (per i nuovi arrivi si tratta dell’equivalente di 50-80 persone in più all’anno per la città di Bellinzona e di 80-130 persone in più per quella di Lugano) parlare di emergenza, invasione ecc. è del tutto fuori posto, anche se si tratta di flussi di persone tutt’altro che irrilevanti, che vanno organizzati e accompagnati.
Una buona ridistribuzione sui diversi territori delle persone in arrivo rende il fenomeno gestibile senza problemi particolari. E’ questo il primo caposaldo di una politica d’immigrazione seria, una risposta immediata e pragmatica a quanto sta succedendo ed in parte è anche una risposta alla necessità europea di fermare o ridurre l’età media dei residenti (altro che politiche per la natalità). In Svizzera, tra i Cantoni, si cerca con un certo successo di andare in questa direzione, mentre all’interno dell’Unione europea il meccanismo di ridistribuzione tra i vari Stati membri è bloccato dai Paesi sovranisti, che impediscono all’Europa di rivedere adeguatamente il famoso trattato di Dublino; per ovviare a questo blocco che impedisce di gestire correttamente il fenomeno l’UE ha messo a punto un sistema di ridistribuzione dei rifugiati basato sulla collaborazione volontaria degli Stati, un piano B che però irrita i Paesi che vi partecipano, sia perché gli altri non lo fanno, sia perché non intendono dare il loro nulla osta alla modifica delle regole giuridiche europee in materia.
Il secondo caposaldo di questa politica dovrebbe essere il superamento del concetto di rifugiato politico come lo conosciamo oggi, includendo tra le ragioni che giustificano la migrazione la mancanza reale di prospettive economiche. Ripetendo quanto accadeva da noi molti decenni addietro, molti scappano dall’Africa (e non solo) per questa ragione, quando la vita appare per sé e per i propri figli senza futuro, in perenne balia di qualsiasi avvenimento. E’ una forma di fuga dalla violenza della disuguaglianza, non meno cruda della violenza fisica.
Benché con un buon supporto logistico e amministrativo nella gestione dei flussi delle persone e con una buona ridistribuzione di chi è giunto in Europa il fenomeno sia governabile, indubbiamente è necessario a medio e lungo termine affrontare infine anche il terzo e ultimo caposaldo di una politica dell’immigrazione seria, quello che ha a che fare con le ragioni per le quali le persone che fuggono lo fanno, sostituendo la violenza, la miseria o l’assenza di prospettive accettabili con uno sviluppo economico adeguato e duraturo nel sud del mondo. Purtroppo la realtà politica di queste regioni è spesso tale per cui è difficile trovare interlocutori affidabili per puntare a questo obiettivo. Le ragioni di questo stato di cose sono molte, ma guardando avanti non ci sono altre alternative. Bisognerà che l’Europa abbandoni l’atteggiamento predatorio che ha spesso contraddistinto la presenza dei Paesi ricchi o forti in quelle regioni, ma senza una solida volontà europea capace di spingere in questa direzione, creando condizioni politiche preliminari sulle quali seminare sviluppo economico per il domani, le persone continueranno a partire.
Considerato quanto precede, il recente piano europeo in 10 punti per la migrazione presentato dalla presidente della Commissione europea a Lampedusa il 17 settembre scorso non mi pare mostri elementi di novità. Il punto 1 (aiuto europeo all’Italia per affrontare la situazione e gestire il numero di migranti) non fa purtroppo che certificare la disorganizzazione italiana nella gestione attuale della situazione, una disorganizzazione che ha fatto arrabbiare molti lampedusani e che risulta poco comprensibile, visto che il Belpaese quando lo vuole sa organizzare benissimo le sfide logistiche e di presa a carico delle persone. Il secondo punto (intensificazione degli sforzi dell’Ue per il trasferimento dei migranti da Lampedusa verso altre destinazioni, sollecitando i Paesi membri dell’UE ad attivare il meccanismo volontario di solidarietà per accoglierli) non è che il piano B sulla ridistribuzione dei migranti di cui si è già detto, un piano necessario ma non sufficiente, perché il piano A, che prevederebbe la ridistribuzione obbligatoria dei migranti in Europa, è purtroppo bloccato dai Paesi sovranisti. Il punto 8 (offrire alternative valide alle rotte illegali attraverso il rafforzamento dei corridoi umanitari) è forse l’unica novità interessante del piano, ma bisognerà capire come questi corridoi saranno organizzati (quante persone potranno farvi capo?, con quale frequenza? con quali modalità?, sulla base di quali criteri umanitari? ecc.).
Il resto è più o meno ciancia. I punti 3 (supporto delle strutture di Frontex per i rimpatri e intensificazione a questo scopo dei rapporti con i Paesi di origine), 7 (aiuto del personale dell’Agenzia Ue per l’asilo al fine di accelerare l’esame delle domande presentate dai migranti respingendo quelle prive di fondamento e rispedendo nei Paesi di origine coloro che le hanno presentate), 9 (rafforzare la collaborazione con le agenzie Onu per garantire la protezione dei migranti anche durante i ritorni assistiti) e 10 (attuazione del memorandum con la Tunisia) dipendono dai famosi accordi con i Paesi di partenza dei migranti, la cui affidabilità è purtroppo quella che è. A loro volta i punti 4 (aumento delle azioni per la lotta contro i trafficanti, anche attraverso un rafforzamento della normativa e una maggiore collaborazione con i Paesi di origine e transito), 5 (intensificazione della sorveglianza aerea e navale attraverso Frontex), e 6 (azioni concrete contro la logistica dei trafficanti , garantendo che le imbarcazioni utilizzate per il traffico di esseri umani vengano sequestrate e distrutte) sono enunciazioni che si scontrano con le sacrosante regole del salvataggio in mare e soprattutto con la disperazione dei migranti, pronti a tutto pur di partire.
L’Europa, e con essa la Svizzera, può fare di più e meglio per sé stessa e per la sorte dei migranti di oggi e di domani. Uscendo dalla cinica presa in ostaggio di questa tematica da parte di chi la usa per cercare di aumentare il proprio peso politico ed alzando finalmente lo sguardo verso un orizzonte più lontano. E’ una scelta che può avvenire solo se la questione migratoria venisse affrontata per quella che è e se le forze politiche che la vorranno compiere avranno sufficiente sostegno. L’alternativa è solo lo sguardo basso, il cinismo reiterato e migliaia di altri sbarchi e morti per i prossimi anni e decenni.
Pubblicato su Naufraghi-e, settembre 2023